giovedì 12 dicembre 2013

Più democrazia
di Luca Pagano



Un assetto di potere, quello della cosiddetta seconda Repubblica, si sta sgretolando e nessun sistema crolla senza contraccolpi dannosi. I mali atavici dell’Italia riemergono con forza, l’ignavia della politica - quando non è zelante colpevolezza - fornisce i giusti alibi. Torna l’evocazione del popolo, che scende in piazza senza rivendicazioni precise né capacità di dialogo e proposta, indistinto e “buono”, contrapponendosi ai “cattivi” della casta al potere. Peccato che il popolo e la casta si rincorrano in quanto a vizi e corruzioni, in un perfetto gioco di specchi. Torna il parlare alla pancia, al ventre molle del paese, pronto ad inseguire il leader autoritario e decisionista di turno. Tornano le minacce della mafia, la volontà di destabilizzare e cercare referenti in pezzi dello Stato. Ma tornano anche, e soprattutto, gli spettri della povertà, della rassegnazione, della paura.

In uno scenario così preoccupante, l’assetto democratico, da sempre in Italia parecchio scricchiolante, è sottoposto ad urti molto pesanti. Da una parte l’ Europa delle oligarchie finanziarie e dei burocrati, che impongono il rigore senza curarsi dei danni sociali inferti ai cittadini. Dall’altra il vento del populismo, della xenofobia, del caos oscuro e torbido.
In mezzo, il PD: l’unico partito esistente in Italia con una democrazia interna e un’organizzazione capillare, che esce rafforzato dalla grande partecipazione, nonostante tutto, alle primarie; con un nuovo leader, finalmente capace di comunicare e con la giusta ambizione, ma dal profilo ideologico liberale e leggero. E la partecipazione ad un governo di piccole-larghe intese, di fatto commissariato da Napolitano, lontano anni luce dal risolvere i problemi abissali del paese.
In tutto questo, se esiste uno spazio e un significato per la parola “sinistra”, sta nel reagire all’abbrutimento di un paese non rinunciando a lottare per la realizzazione di un futuro più luminoso e più giusto. Lo spazio politico della sinistra, fuori e dentro il PD, si è ristretto invece che allargarsi; ma proprio questa dimensione limitata può aiutare a concentrare le energie e costringere le forze a convergere in un profilo netto e chiaro.
A mio avviso, di fronte alla gravità della situazione attuale, la sinistra può risorgere solo grazie ad un cambiamento non tanto nei contenuti, pur fondamentali (basta pensare al tema cruciale della lotta alla disuguaglianza); quanto nel metodo. Il tallone d’Achille della sinistra in questi anni, l’ostacolo su cui tutta la classe dirigente ha inciampato, è stato, agli occhi di tutti, la gestione del potere. Una volta al potere, i politici di sinistra non hanno saputo marcare una differenza con quelli di destra: anch’essi hanno ricercato sempre più potere, si sono fatti corrompere, hanno ceduto alle sirene del denaro, hanno mostrato connivenze con i poteri forti dell’economia e della finanza, si sono arrogantemente isolati dai cittadini comuni. Chi più chi meno naturalmente, esistono politici più morali e altri meno, ma il modello generale è stato quello sopra descritto.
Come non ripetere gli errori del passato e riuscire a gestire il potere in modo più sano, più giusto, più vicino alle persone? Un rinnovamento di volti è senza dubbio salutare, ma è difficile pensare che un mero ricambio possa essere garanzia di migliore riuscita, se è vero come è vero che gli esseri umani sono un legno storto, impossibile da raddrizzare. Il problema va affrontato ad un livello superiore, ad un livello appunto di metodo.
Un metodo diverso e migliore di gestione del potere a mio avviso deve basarsi su tre principi: trasparenza, nonviolenza, democrazia.
Si tratta di tre principi distinti ma complementari fra loro. A loro urgenza e importanza sono state messe in luce da associazioni e movimenti, e anche da alcune forze politiche che si sono avvicinate ad alcuni di essi; nessuna, però, li ha mai assunti tutti e tre insieme come principi guida.
Il tema della trasparenza è centrale in un paese con livelli di corruzione così alti ed efficienza delle istituzioni così bassa come il nostro. Trasparenza significa rendere pubblici i bilanci, nel dettaglio, e rendere pubbliche le scelte e le strategie. Fermo restando il momento irriducibilmente politico della mediazione, non sono più accettabili per una forza politica i machiavellismi tipici della storia recente, la ricerca di alleanze nelle segrete stanze, i compromessi al ribasso e sottaciuti, le trame omertose dei 101 votanti contro Prodi. Inoltre rendere pubblici i dati dei bilanci, come fatto ad esempio da Renzi  a Firenze, o da Barca da Ministro per la Coesione Territoriale, consente ai cittadini di esercitare il diritto-dovere di informarsi e controllare l’uso delle risorse pubbliche. Una forza politica di sinistra oggi deve fare della trasparenza una regola d’oro per ogni sua azione.
La nonviolenza è un'altra opzione a mio avviso oggi irrinunciabile. Tra i partiti solamente SEL vi si richiama con una certa forza. Che cosa significa esercitare la nonviolenza a livello politico? Battersi per una politica estera di pace, senza dubbio, tagliando le spese militari e destinando le risorse ad altre priorità, come le politiche sociali o l’istruzione; rifiutare la logica della guerra a favore della cooperazione e del dialogo. Ma non solo. Essere nonviolenti significa prima di tutto concepire il dialogo più possibile paritario come metodo da adottare a tutti i livelli nella risoluzione dei conflitti: nel prendere decisioni politiche rilevanti su un territorio coinvolgendo i cittadini, nel dialogo onesto con le altre forze politiche, nei dibattiti interni, nei rapporti con la società civile. Non basta essere contro le missioni militari come Grillo, se poi il tuo avversario politico o il giornalista che scrive male del tuo movimento sono nemici da odiare e mettere alla gogna. Ci vuole di più, ci vuole lo sforzo di scorgere la possibilità di soluzioni inedite e migliori in ogni conflitto, interno o esterno che sia, servono capacità si ascolto, umiltà, e non ultimo, come ricordava Gandhi, disponibilità a soffrire.
Infine, la democrazia. In una fase di paralisi istituzionale, di impoverimento e aggravarsi della crisi, la tentazione di ricorrere al decisionismo è forte. Invece, l’unica soluzione vera, forte e veramente vincente è il coinvolgimento attivo e partecipato di tutti i soggetti in campo. La partecipazione responsabilizza, arricchisce, educa. Una democrazia è viva se al suo interno hanno luogo continui processi di democratizzazione, che attraversano tutte le sfere sociali e tutti i luoghi in cui si esercita un potere: scuole, università, aziende, quartieri, forze dell’ordine, mass-media.. La democrazia però non è un modo di vita semplice e scontato: sono più facili e immediati la delega, il disinteresse, il trincerarsi in settarismi o nell’individualismo. Democratici non si nasce, ma si diventa; si impara a diventarlo esercitandosi tutta la vita. Una democrazia che non educa i cittadini ad essere democratici avrà vita breve.
Compito di ogni soggetto collettivo di sinistra, e ancor prima di ogni persona di sinistra oggi in Italia è esercitare la trasparenza, la nonviolenza e la democrazia nei luoghi in cui si trova ad agire quotidianamente, gettando semi di cambiamento in un paese stanco e malato, senza rinunciare alla speranza in un mondo migliore.

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